In tema di diffamazione, sono obiettivamente ingiuriose quelle espressioni con le quali si “disumanizza” la vittima, assimilandola a cose o animali (Sez. V, 29/09/2011, n. 42933). Nel caso di specie, un condomino postava nella chat Whatsapp del condominio la frase: “volevo solo far notare al proprietario dell’animale ciò che è stato procurato al volto di mia figlia. Domani al rientro del turno lavorativo prenderò le dovute precauzioni”. Secondo la Cassazione, quel paragonare il bambino a un “animale”, definendo il padre come “proprietario” e, dunque, il bambino come una cosa, è espressione che, per quanto possa essersi degradato il codice comunicativo e scaduto il livello espressivo, soprattutto sui social media, conserva intatta la sua valenza offensiva.
(Cass. pen., V, 26/07/2019, n. 34145)